Danilo Aprigliano

Il padrone

Quando finalmente, dopo avergliela quasi distrutta a furia di bussare, gli spalancarono la porta, tutti, nella locanda – con le gole ancora calde dai canti e i boccali in mano -, rimasero immobili a fissare il nuovo venuto come se fosse caduto dal cielo.
«Ne hai di vino buono?» gridò a quella macchia d’unto che gli stava preparando il tavolo.
Le donne, come galline del pomeriggio, incominciarono a ridere più stridule e una, zampettando, gli si avvicinò per chiedergli quale fosse la sua origine e quali strambe ragioni lo avessero portato fin su quelle lande scansate da tutti.
Mentre arrivavano, col vino, brodaglie e piatti sugosi, con un tonfo – un botto da far credere fosse di nuovo scoppiata la guerra – la porta si spalancò violentemente e una specie di sacco pesante venne lanciato dentro rivelandosi, una volta a terra, un maleodorante cadavere insanguinato. Una donna spiritata apparve alla porta urlando frasi sconnesse a proposito di un esattore mandato da Napoli a spolpare quella gente e poi scomparso per diverse settimane. Strillò che dopo essersi approfittato di lei bellamente, avere mangiato e bevuto come un maiale in casa sua servito e riverito come un principe, voleva poi anche usufruire della figlia, magari tutte e due insieme. E continuare a fare i suoi porci comodi in casa chissà ancora per quanto tempo, fino a quando si fosse fracassato la minchia e se ne fosse tornato a Napoli.
Ma sì, di Nardello, l’esattore scomparso, – iniziò a raccontargli la gallinella – avevano sentito parlare tutti. Persino il Duca Morales era stato costretto a tornarsene qua a far diffondere il bando perché ‘sto cristo di succhiasangue venisse trovato. Ma chi ci avrebbe pensato mai che se ne stava morto in casa della Patatàra?
Un gira gira universale: chi si avvicinava al cadavere allontanandosi subito dato che la puzza ti smuoveva lo stomaco, chi cercava di andarsene per non c’entrare niente con quella storia, chi diceva «andate a chiamare le guardie!». Ma quali guardie?! No no no, qua ci voleva qualcuno che sapesse il fatto suo e risolvesse la questione a dovere senza che nessuno rimanesse gabbato.
Insomma, in un attimo comparve alla porta Matteo Carato, il fiduciario del signorotto: e finì subito, il virivirì.
«Come c’è finito qua, questo?» iniziò a dire girando lo sguardo verso tutti.
Partì un moto furioso di io non lo so, non sono stato, non c’entro niente Insomma, andò a finire che qua quel forestiero che era appena arrivato guarda caso proprio poco prima del morto, c’entrava qualcosa con tutta questa storia – niente succede per caso – e qua bisognava pur capire; meglio prenderlo subito prima che se ne andasse.
Gli si avvicino, il fiduciario, a domandargli chi fosse e da dove venisse.
«Mi chiamo Antonio Campana e vengo da Stilo, sono un viaggiatore in cerca di maggior fortuna».
Ma che minchia stava dicendo? Sembrò essere la domanda stampata sui volti di tutti. Insomma, finì che lo prese con sé e lo portò al suo padrone, al padrone di tutti in quel luogo.

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