I treni arrivavano in orario?

«Q
uando c’era lui, i treni arrivavano in orario» è il cavallo di battaglia di chi vuole sottolineare, magari con un senso di nostalgia, l’efficienza dello stato fascista.

Richard Carr, uno storico inglese, ha ricostruito il pensiero politico di Charlie Chaplin il quale, a seguito di un viaggio nel nostro paese del 1931, si disse «impressionato dall’atmosfera italiana», dove «la disciplina e l’ordine erano onnipresenti. La speranza e il desiderio sembravano nell’aria». Lo storico racconta di come persino il regista del Dittatore cadde nell’adagio che «i treni arrivavano in orario». Ma era davvero così?

Il mito ha cominciato a crearsi nel 1924, quando il ministro Costanzo Ciano iniziò a diffondere lo slogan dei «treni in orario», obiettivo da ottenere con una rigorosa «disciplina e regolarità d’esercizio».

L’esigenza di veicolare una nuova immagine del sistema di trasporto ferroviario italiano si inseriva in un disegno più generale di propaganda sull’efficienza del nuovo regime. In particolare, si voleva porre fine ai continui scioperi che dagli anni del Biennio rosso non davano tregua ed erano una delle principali cause percepite di disservizio. Già nel gennaio 1920, Mussolini cavalcava l’onda della demonizzazione degli scioperi ferroviari dalle colonne del suo giornale Il Popolo d’Italia.

Durante gli anni tra il 1922 e il 1924, tra gli ordini del giorno del primo governo Mussolini era già previsto un numero massiccio di licenziamenti tra il personale ferroviario. Per questi esuberi si ebbe cura di scegliere in gran parte attivisti e simpatizzanti dei partiti socialista e comunista, con la motivazione spesso fittizia dello “scarso rendimento”. L’obiettivo era quello di azzerare gli scioperi ed esercitare un controllo totale sull’efficienza ferroviaria, specchio di una più generale efficienza della nazione.

Nel complesso, l’immagine che il governo italiano voleva offrire anche all’estero era di grande capacità di gestione e di buona amministrazione. Il regime puntò con convinzione sulle ferrovie, considerandole una vetrina irrinunciabile in grado di veicolare una visione del fascismo che solo in parte corrispondeva al vero.

L’aumento del volume del traffico viaggiatori e merci esaltato dal fascismo era in realtà un fenomeno che riguardava in realtà l’intera Europa, che conobbe, tra il 1925 e il 1930, uno straordinario sviluppo delle infrastrutture.


Costanzo Ciano, padre del più noto Galeazzo che sposò Edda la figlia del Duce, era conte di Cortellazzo e di Buccari. Fu ministro delle Comunicazioni dal 1924 al 1934 e presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni dal marzo al giugno del 1939 quando morì.

Il ministero delle comunicazioni fu istituito appositamente dal regime nel 1924 facendovi confluire marina, poste e telegrafi e ferrovie.

Gli anni tra il 1922 e il 1924 sono gli anni del primo governo Mussolini e segnano il passaggio tra lo stato liberale e quello fascista, convenzionalmente fatto iniziare con il discorso in cui il Duce si assume le responsabilità per il delitto Matteotti.

Il governo fascista, in più, beneficiava di quanto fatto dai governi precedenti. Già nel 1905, infatti, il governo Giolitti aveva predisposto un progetto di legge che prevedeva la nazionalizzazione delle ferrovie.

Durante gli anni del fascismo il chilometraggio della rete su rotaie non era sostanzialmente aumentato rispetto a al periodo 1905-1920, fatta eccezione per la costruzione delle linee “direttissime”. Queste linee di scorrimento veloce erano già state progettate prima della Grande Guerra, ma vennero identificate dall’opinione pubblica come una realizzazione fascista. La prima “direttissima” fu la Roma-Napoli, inaugurata il 28 ottobre 1927 in coincidenza con l’anniversario della marcia su Roma. I lavori erano iniziati nel 1907 ma si dovettero interrompere durante la Grande Guerra. L’altra direttissima fu quella dell’Appennino tra Bologna e Prato. I lavori iniziarono nel 1913 ma, anche in questo caso, le vicende belliche ne rallentarono la costruzione.

I licenziamenti tra il personale ferroviario non sono confrontabili con nessun altro intervento di riforma del settore pubblico precedente. Nel dicembre 1922 fu sciolto il consiglio di amministrazione delle Ferrovie dello Stato per nominare commissario straordinario Edoardo Torre che, in circa due anni, esonerò oltre 50 mila ferrovieri: dei 226.907 in servizio al 30 giugno 1922, due anni dopo erano rimasti soltanto 174.140.


Per quanto riguarda la questione dei «treni che arrivavano in orario», è difficile stimare la veridicità di tale affermazione. La propaganda del regime nascondeva o minimizzava programmaticamente qualsiasi tipo di disservizio e, in molti casi, persino gli incidenti ferroviari. Negli anni ’30, il giornalista americano George Seldes si occupò di un’inchiesta sul mito dell’efficienza dello stato fascista. Gli agenti di stampa – scrive – e i filosofi ufficiali del regime spiegavano al mondo che gestire i treni fosse il simbolo della restaurazione della legge e dell’ordine rispetto al disordine lasciato dai governi precedenti. Nessuno, però, si è preso mai il disturbo di spiegare che durante la Guerra l’Italia, per mantenere efficienti truppe e rifornimenti al fronte, aveva frazionato e disorganizzato le ferrovie di proposito. 

A prova del fatto che la puntualità dei treni fosse appunto solo un mito, una fake news propagandata dal regime, Seldes registra, durante la sua permanenza in Italia, una serie di disservizi e incidenti taciuti dalla stampa italiana. Riporta, inoltre, di grandi differenze tra le linee veloci (le “direttissime”) e quelle locali. Se le prime, effettivamente, erano caratterizzate da un certo grado di efficienza, le seconde erano in balia di disservizi, ritardi e incidenti.

Se da un lato il governo italiano dedicava una certa attenzione al funzionamento e all’efficienza dei treni, è anche vero che questa attenzione difficilmente usciva fuori dal campo della propaganda. Alla prova dei fatti, rispetto agli altri paesi europei, il sistema restava ancora arretrato e deficitario. 

Dietro il mito dei «treni che arrivano in orario» c’è, dunque, un cortocircuito creato dalla propaganda, sfuggito alla damnatio memoriae del Dopoguerra e alimentato oggi da un pensiero nostalgico nei confronti dell’“uomo forte”. È uno slogan che sfrutta inevitabili frammenti di verità non inseriti criticamente in una visione complessiva del tema.

Insomma, la migliore analisi ce la offre una battuta di Massimo Troisi nel film Le vie del Signore sono finite: «Mica c’era bisogno di nominarlo capo del governo, bastava farlo capostazione».

Seldes, nel solo luglio del 1930, registra i seguenti incidenti non citati dalla stampa: espresso Milano-Chiasso deragliato a Seregano, due feriti tra il personale; treno che portava il ministro della giustizia Rocco deraglia e arriva con forte ritardo; 22 luglio, linea Roma-Milano deraglia a Tarquinia; 26 luglio una locomotiva e 14 carrozze cadono nel fiume Meduna vicino a Udine. Registra poi altri deragliamenti di minore importanza.

«It is true – conclude – that the majority of big expresses, those carrying eyewitnessing tourists, are usually put through on time but on the smaller lines bad rail and road-bed conditions frequently cause delays».

George Seldes
George Seldes
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